sabato 3 aprile 2010

Alone in the Dark...

Sperimentare per la prima volta l'esperienza del solo-diving è qualcosa di decisamente forte. E' uno di quei punti di non ritorno dopo i quali la visione delle cose cambia.
Un tuffo semplice, in curva, ma con configurazione pesante per settare in maniera definitiva il novo GAV e per praticare un po' di esercizi. Una pianificazione precisa e rispettata nel dettaglio, consumi calcolati con un margine di sicurezza altissimo e valutando OGNI situazione. Un check dell'attrezzatura maniacale.

Tutto cambia se fatto da soli. Ogni movimento, ogni collegamento, ogni chiusura di moschettone, tutto eseguito in silenzio visualizzando il tuffo dall'inizio alla fine. Ripassi ancora una volta il tutto con la faccia immersa nell'acqua gelida per acclimatarti, indossi la maschera e guardi giù e non vedi nulla, perché il temporale del giorno prima ha ridotto la visibilità a poco più di un metro. Conosci il sito ma all'improvviso ti sembra inospitale, insidioso, imprevedibile. L'hai fatto innumerevoli volte, ma chissà perché sgonfiare il GAV ora sembra più difficile.
All'improvviso razionalizzi, diventi pienamente cosciente di ciò che devi fare, "sono ok per scendere? Sì, sono ok per scendere!" e inizi a precipitare.
E la discesa diventa qualcosa di nuovo, di mai sperimentato. Tempo e spazio fluiscono scanditi dalla sospensione che attraversa dal basso verso l'alto il fascio di luce della tua torcia. Per quei secondi sei solo, come non lo sei mai stato: solo con te stesso, col tuo respiro, con le tue capacità, con la tua preparazione, con la tua passione, con quel mondo che tanto ami e che poco fa ti feceva quasi paura. Lasci per un attimo che il buio, la solitudine, il freddo diventino parte di te, te ne nutri, come se l'acqua che ti gira attorno potesse in realtà attraversarti. E' una purificazione: hai lasciato tutto fuori, sulla spiaggia, in macchina, a casa, ti sei portato dietro solo l'essenziale, anzi, l'essenza.
E finalmente, come un'esplosione alla rovescia, ogni frammento torna al suo posto e sei lucido, sei sott'acqua, è ora di cominciare i controlli di routine. Consumi, tempi, profondità, tutto quadra, tutto è sotto controllo. E tutto è meraviglioso. Sai di aver lavorato tanto, di averci creduto. Più che mai ti senti ospite, ti muovi con leggerezza, in silenzio, come per passare inosservato. Giri attorno al relitto di una piccola barca a vela, ma lo guardi da lontano, con rispetto, ti accontenti di intravederne i contorni attraverso l'impenetrabile cortina verdenera.
E' ora di risalire un po' verso la luce, di ripassare un po' di procedure di emergenza, di provare il cambio maschera, facendosi così salutare dall'acqua con quel gelido bacio in mezzo alla fronte, quel bacio che ti disorienta e che ti ricorda che tra te e lei c'è un sottile strato di polimeri plastici, ma che siete stati comunque più vicini che mai.

Lancio il pallone, sto tornando al mondo, alla realtà. Guardo in alto la superficie, mi preparo a bucarla e vedo due anatre che mi passano sopra la testa... assurdo paradosso... sorvolato da due anatre che nuotano. Mi avvicino sempre di più a quelle zampette palmate ed emergo proprio di fianco a loro. Si fermano, mi guardano dall'alto in basso, mi sembra quasi di scorgere un atteggiamento di superiorità nei miei confronti. Via, non è il caso di essere così stizzose. Se fossi stato un alligatore non sareste state così boriose, eh? Poi, per nulla spaventate (forse perché certe della mancanza di alligatori nel Lario) riprendono la passeggiata.

E mentre mi svesto ho solo voglia di tornare là sotto, ovunque sia, accompagnato dalla mia buddy, dal mio trainer, dal mio tech-buddy, dai miei allievi. Perché non è il mio mondo, no... è davvero troppo bello per non essere di tutti.

:-)

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